Ipsitilla, Lesbia… Aurelio e Furio
Ipsitilla, Lesbia… Aurelio e Furio
Sii buona, mia dolce Ipsitilla,
delizia mia, tesoro mio, invitami
oggi da te, all'ora della siesta.
Mi inviti, e poi fa' in modo per piacere
che non scatti il tassello della porta
e non ti venga in mente d'andar fuori.
Piuttosto resta in casa a prepararmi
nove fottute senza interruzione.
Anzi, già che ci sei, chiamami subito.
Ho pranzato, son sazio e sto sdraiato,
e mi sfonda la tunica e il mantello.
Dobbiamo Lesbia mia vivere, amare,
le proteste dei vecchi tanto austeri
tutte, dobbiamo valutarle nulla.
Il sole può calare e ritornare,
per noi, quando la breve luce cade,
resta un'eterna notte da dormire.
Baciami mille volte, e ancora cento,
puoi nuovamente mille, e ancora cento,
e dopo ancora mille, e dopo cento,
e poi confonderemo le migliaia,
tutte insieme per non saperle mai,
perché nessun maligno porti male
sapendo quanti sono i nostri baci.
Io a voi lo metto in culo e in bocca,
Aurelio frocio e Furio pederasta,
voi che avete dedotto dai miei versi
niente austeri che sono niente casto.
Il sacro vate deve essere onesto,
senza obbligo che i versi anche lo siano.
I quali hanno poi spirito e gusto
sebbene niente austeri e mal pudichi
e in grado di eccitare le prurigini,
non dico ai ragazzini, ma ai pelosi
ormai incapaci di ondeggiare i fianchi.
Voi, perché scrivo di baci a migliaia,
non mi credete maschio in senso pieno?
Ma io a voi lo metto in culo e in bocca.
Caio Valerio Catullo